Perché oggi aumentano gli attacchi di panico? Una lettura psicologica moderna

Negli ultimi anni, sempre più persone si rivolgono allo psicologo descrivendo sintomi di ansia intensa, sensazioni di perdita di controllo, tachicardia improvvisa, vertigini, derealizzazione e paura di morire: tutti indicatori riconducibili agli attacchi di panico.
Non è un'impressione: gli studi confermano che i disturbi d'ansia – e in particolare il Disturbo di Panico – sono in aumento, soprattutto nelle fasce più giovani e nella popolazione adulta sottoposta a carichi stressogeni importanti.
Secondo il National Institute of Mental Health e le meta-analisi più recenti (Wang et al., 2021), gli attacchi di panico sono oggi più frequenti rispetto a dieci o vent'anni fa. Ma perché?
Le cause non sono mai univoche. La psicologia clinica contemporanea, attraverso i contributi della psicoterapia cognitiva (Clark, 1986), della teoria della regolazione emotiva (Gross, 1998), della neurobiologia dello stress (Porges, 2011) e della psicologia sociale, ci offre una lettura più completa e attuale.
1. Viviamo in una società iperstimolata e iperveloce
La nostra mente non è progettata per la quantità di stimoli, notifiche, scadenze, richieste e micro-stress che riceviamo quotidianamente.
Oggi il sistema nervoso vive in una condizione di allerta costante, senza reali momenti di decompressione.
Questo produce:
-
iperattivazione fisiologica,
-
difficoltà a "staccare",
-
pensiero anticipatorio costante,
-
aumento dell'ansia basale.
Quando il sistema rimane attivo troppo a lungo, può andare "in tilt", e spesso l'attacco di panico è proprio il segnale di un sovraccarico prolungato.
2. Non abbiamo più "vuoti", silenzi, spazi per ascoltarci
La psicologia contempla da tempo l'idea che la mente abbia bisogno di momenti di vuoto per rielaborare ciò che viviamo.
Oggi questo vuoto non esiste più.
Ogni attesa, ogni pausa, ogni momento di noia è riempito:
-
dallo smartphone,
-
dai social,
-
da musica,
-
da notifiche,
-
da contenuti infiniti.
Senza silenzio, l'ansia non trova vie di espressione sane.
Così, "salta fuori" improvvisamente, esplodendo in un attacco di panico.
3. La cultura della performance: essere "sempre all'altezza"
Molti pazienti riferiscono una sensazione schiacciante:
"Devo farcela. Devo essere forte. Non posso mostrare fragilità."
È la cosiddetta cultura della performance, descritta da Byung-Chul Han nelle sue analisi sulla "società della stanchezza".
Viviamo in un mondo dove tutto è misurabile, condiviso, confrontabile.
Questo porta a:
-
perfezionismo,
-
auto-esigenze irrealistiche,
-
iper-responsabilità,
-
paura di sbagliare.
Il corpo, impossibilitato a sostenere questo carico, risponde con l'ansia.
4. Incertezza sociale e precarietà emotiva
Pandemia, guerre vicine, crisi economiche, instabilità lavorativa.
Il cervello non tollera bene l'incertezza prolungata: l'amigdala diventa ipersensibile, come descritto dagli studi di LeDoux (2012).
In altre parole:
Più ci sentiamo insicuri nel mondo, più il corpo anticipa pericoli anche quando non ci sono.
Gli attacchi di panico diventano così una forma estrema di allarme interno.
5. Un'educazione emotiva insufficiente
Non ci è stato insegnato a:
-
nominare le emozioni,
-
regolare la paura,
-
sostenere la vulnerabilità,
-
affrontare il disagio senza evitarlo.
La mancanza di alfabetizzazione emotiva porta molti adulti a vivere le normali emozioni come pericolose, e a interpretare segnali fisiologici normali come minacce (Clark, 1986).
È uno dei meccanismi più frequenti nel disturbo di panico: il corpo manda un segnale, la mente lo interpreta catastroficamente, si attiva l'allarme.
6. Il corpo come luogo del conflitto
In psicologia contemporanea si parla molto della relazione tra:
-
stress cronico,
-
disregolazione del sistema nervoso autonomo,
-
sintomi corporei.
La Polyvagal Theory di Stephen Porges (2011) spiega come, quando ci sentiamo sopraffatti, il nostro sistema nervoso passa da modalità "di sicurezza" a modalità "di minaccia", generando:
-
tachicardia,
-
iperventilazione,
-
sensazione di sbandamento,
-
derealizzazione,
-
senso di catastrofe imminente.
Sono tutti segnali che molti interpretano come "sto impazzendo" o "sto morendo", generando il circolo vizioso del panico.
7. Social e ipercondivisione del disagio
Paradossalmente, la costante esposizione ai contenuti legati a ansia, attacchi di panico, psicologia, può avere un effetto ambivalente:
✔ normalizza il disagio
✖ ma amplifica l'attenzione su sintomi e sensazioni corporee
Alcune persone iniziano a "monitorarsi" continuamente, innescando un meccanismo ansioso di ipervigilanza corporea che aumenta la probabilità di esperire un attacco di panico.
📌 Allora perché aumentano gli attacchi di panico oggi?
Perché viviamo in un mondo:
-
più veloce della nostra fisiologia,
-
più insicuro della nostra emotività,
-
più pieno della nostra capacità di elaborazione,
-
più stressante delle nostre risorse,
-
più connesso ma meno intimo,
-
più esigente ma meno accogliente.
Il panico non è "follia".
È un messaggio del sistema mente-corpo che ci dice:
"Sto superando i miei limiti. Fermati. Ascoltami. Ho bisogno di te."
Cosa possiamo fare?
Le evidenze mostrano che percorsi psicologici basati su:
-
psicoeducazione,
-
regolazione emotiva,
-
lavoro sul corpo e sul respiro,
-
gestione dello stress,
-
interventi su credenze catastrofiche,
sono particolarmente efficaci.
L'obiettivo non è eliminare l'ansia – che è una funzione vitale –
ma imparare a non averne paura.
Conclusione: un messaggio di senso
Gli attacchi di panico stanno aumentando perché viviamo sotto pressioni che nessuna generazione precedente ha mai vissuto con questa intensità.
Ma aumentano anche perché oggi c'è più consapevolezza, più richiesta d'aiuto, più spazio per parlare della fragilità senza vergogna.
E questo è un segno di crescita culturale: il panico non è un fallimento, ma un invito a recuperare un rapporto più umano, più sano, più rispettoso con noi stessi.