Dormire male non è solo un problema fisico: il legame tra insonnia e ansia

30.06.2025

«Non riesco a dormire bene da mesi. La testa non si spegne mai. E più mi sforzo di dormire, meno ci riesco».
È una frase che sento spesso da chi soffre di ansia. E non è un caso. Il legame tra qualità del sonno e stati ansiosi è ormai ampiamente documentato in letteratura scientifica, ma spesso sottovalutato nella vita quotidiana.

Molti pensano che dormire sia semplicemente "smettere di essere svegli", un passaggio naturale e scontato. In realtà, il sonno è un processo attivo, neurofisiologico e psicologico, regolato da una complessa interazione tra corpo e mente. Quando qualcosa di questa macchina si inceppa — per esempio a causa dell'ansia — il primo a farne le spese è proprio il riposo notturno.

Insonnia e ansia: un legame a doppio senso

L'insonnia non è una malattia in sé, ma un sintomo che segnala un'alterazione dell'equilibrio psicofisico. Secondo l'ICSD-3 (International Classification of Sleep Disorders), si parla di insonnia quando una persona presenta difficoltà a:

  • addormentarsi,

  • mantenere il sonno durante la notte,

  • oppure svegliarsi molto presto senza riuscire a riaddormentarsi,
    con un impatto significativo sul funzionamento diurno.

Spesso, però, si ignora che l'ansia non è solo una conseguenza dell'insonnia, ma anche una sua causa diretta. La persona che si sente sotto pressione, preoccupata, sopraffatta da pensieri anticipatori, entra in una condizione di iperattivazione emotiva e cognitiva che interferisce con i meccanismi naturali del sonno. Questo stato di iperallerta può essere tanto sottile quanto persistente: anche se il corpo è stanco, la mente continua a "girare".

La psicologa Allison G. Harvey, in una delle ricerche più influenti sul tema (Harvey, 2002), ha descritto l'insonnia cronica come il risultato di un circolo vizioso alimentato da pensieri disfunzionali, comportamenti controproducenti e attivazione fisiologica prolungata. L'ansia, in questo modello, gioca un ruolo chiave nel mantenere attivo questo circolo.

Pensieri che non si spengono

Uno degli aspetti più frustranti dell'insonnia legata all'ansia è la sensazione che, nel momento in cui ci si mette a letto, la mente inizi a correre senza sosta. La giornata finisce, il rumore esterno si spegne, e ciò che resta è lo spazio interno — spesso pieno di pensieri preoccupati, scenari futuri, rimuginii continui.

Molti riferiscono di restare svegli a controllare l'orologio, calcolando quanto tempo rimane da dormire, con un senso crescente di impotenza. Altri si alzano più volte, ricorrono a strategie inefficaci (scrollare il telefono, prendere sonniferi non prescritti), entrando così in una routine che aumenta la frustrazione e l'ansia da prestazione legata al sonno stesso.

Baglioni et al. (2010), in una meta-analisi su oltre 21 studi, hanno confermato che l'insonnia cronica è un importante predittore di disturbi d'ansia, sottolineando come questi due aspetti si influenzino reciprocamente in modo significativo. Dormire male, dunque, non è solo un sintomo dell'ansia: può anche amplificarla e renderla più resistente al trattamento.

Cosa accade nel cervello

Dal punto di vista neurobiologico, ansia e insonnia condividono una iperattivazione delle strutture cerebrali coinvolte nella risposta allo stress. In particolare, l'amigdala (la "centralina" della paura), la corteccia prefrontale (che regola il giudizio e la pianificazione) e l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (coinvolto nel rilascio di cortisolo, l'ormone dello stress) restano attivi anche nelle fasi in cui il cervello dovrebbe invece rallentare.

Questa condizione di allerta continua, tipica di chi vive con un'ansia persistente, rende difficile il passaggio allo stato di quiete necessario per il sonno. Non si tratta di "non voler dormire", ma di non riuscire a disattivare il sistema nervoso autonomo, che resta in modalità difensiva.

La psicoterapia può aiutare

La buona notizia è che i disturbi del sonno legati all'ansia sono trattabili, e che la psicologia clinica offre strumenti efficaci e validati per affrontarli. La terapia cognitivo-comportamentale per l'insonnia (CBT-I), oggi considerata gold standard nel trattamento dell'insonnia (Morin et al., 2006), aiuta a:

  • ridurre i pensieri disfunzionali legati al sonno,

  • interrompere i comportamenti di controllo o evitamento che alimentano il disturbo,

  • favorire l'esposizione graduale all'ansia associata al sonno stesso.

Nel percorso terapeutico, non si lavora solo sul "dormire meglio", ma anche sulla gestione dell'ansia come esperienza interna, aiutando la persona a sviluppare un nuovo rapporto con il proprio mondo emotivo, più accogliente e meno giudicante.

Anche tecniche di rilassamento, mindfulness, training autogeno o EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) possono essere utili, soprattutto quando l'insonnia è legata a eventi stressanti o traumatici.

Conclusioni

Quando il sonno si rompe, è il nostro equilibrio a mandare un segnale.
Non è solo il corpo a non trovare riposo: è anche la mente a non sentirsi al sicuro.
L'insonnia non va banalizzata né affrontata solo con strategie farmacologiche temporanee.
Capire cosa c'è sotto quella veglia forzata — ansia, pensieri, emozioni non elaborate — è spesso la chiave per ritrovare un sonno più profondo, ma anche un rapporto più sano con sé stessi.

Se l'ansia ti toglie il sonno, non devi affrontarla da solo. La psicologia può aiutarti a rimettere in equilibrio i tuoi ritmi, il tuo corpo e la tua mente.